
Con ricorso ex art. 414 c.p.c. il nostro studio legale ha chiesto al Tribunale di Roma, in veste del Giudice del Lavoro, di dichiarare la illegittimità del comportamento dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro che non computava al fine del calcolo della c.d. performance organizzativa i giorni di permesso ex art. 33 comma 3 L. 104/1992 e quindi di accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a vedersi computati di detti giorni al fine della determinazione della indennità di performance organizzativa.
Il dipendente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro di Roma, dall’anno 2011 usufruiva di tre giorni di permesso retributivo mensile ex art. 33 della L. 104/1994 per assistere la madre gravemente disabile.
In particolare il lavoratore usufruiva dei permessi comma 3 art. 33 L. 104/1994 ed i detti giorni di permesso sono sempre stati calcolati a favore del lavoratore al fine della determinazione della c.d. performance organizzativa; ciò si verificava sino a quando con una comunicazione unilaterale del datore di lavoro venivano mutati i criteri di calcolo della detta indennità e i giorni di permesso di cui all’art. 33 commi 2 e 3 L. 104/1992 non erano più parificati alle giornate di effettivo servizio prestato. In maniera del tutto contraddittoria il datore di lavoro continuava a conteggiare i permessi ex articolo 33 comma 6 L. 104/1992.
La scelta dell’Amministrazione appariva illegittima non solo per la contrarietà alle finalità alla base della L. 104/1992, ma altresì in quanto in contrasto con le disposizioni dell’articolo 7 della contrattazione integrativa secondo cui che si devono applicare due diversi criteri al fine dell’attribuzione della somma aggiuntiva ossia: a. “grado di raggiungimento degli obiettivi/attività assegnati dal dirigente con la predisposizione dei piani operativi”; b. “giornate di presenza in servizio”.
Con il concetto di presenza in servizio si intendevano non solo le giornate effettive di lavoro, ma anche quelle giornate di assenza, determinate da eventi individuati dalla contrattazione, che dovevano essere parificate ai giorni di effettiva presenza.
La contrattazione integrativa ha sempre equiparato le giornate di assenza a quelle di lavoro quando il dipendente, tra le varie ipotesi, era assente per “permessi di cui all’art. 33, comma 2, 3 e 6 della L. 104/1992” di cui all’articolo 33 del CCNL 2018 di riferimento.
Ebbene, in data 18 giugno 2020 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro sottoscriveva il “Contratto Collettivo Nazionale Integrativo sul fondo di risorse decentrate 2019 e su istituti contrattuali per il personale delle aree funzionali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro”. All’articolo 7 del detto accordo – “Incentivazione della produttività” – in merito alla “Performance organizzativa” si statuiva semplicemente: “Una quota non superiore al 70% delle risorse disponibili è destinata all’incentivazione della performance organizzativa. La quota è riconosciuta al personale sulla base del grado di raggiungimento degli obiettivi/attività assegnati dal dirigente con la predisposizione dei pieni operativi, nei quali sono riassunti i compiti del gruppo di lavoro e i relativi partecipanti. Il grado di realizzazione delle attività assegnate deve essere attestato in fase di verifica finale dello stato di avanzamento del piano operativo.
L’ammontare della quota riconosciuta a ciascun componente del gruppo di lavoro é determinata in funzione delle giornate di presenza in servizio”.
Null’altro veniva specificato.
Con successiva nota l’Ispettorato Nazionale del Lavoro individuava le assenze dal servizio equiparate alla presenza in servizio ai fini della distribuzione del Fondo risorse decentrate e quindi al fine dell’erogazione e del computo delle somme a titolo di performance organizzativa. Nell’elenco scomparivano, oltre ad esempio alle assenze a causa di servizio o il c.d. congedo parentale, proprio le assenze per permessi ex art. 3, comma 3, L. 104/1992.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro chiedeva parere all’ARAN in cui si deduceva la necessità di legare “l’erogazione del premio incentivante, fondato sulla valutazione dell’apporto partecipativo individuale e collettivo del personale agli obbiettivi dell’ente, all’effettiva partecipazione dello stesso”.
Il parere rimandando alla contrattazione collettiva e al combinato disposto della L. 104/1992 e del D.Lgs 151/2001 statuiva la illegittimità della scelta della DNL che escludeva i permessi ex articolo 33 comma co. 2 e 3 dal computo della detta performance organizzativa.
Il Tribunale Ordinario di Roma con la decisione n. 7785/2023, pubblicata in data 14 settembre 2023, ripercorrendo il percorso giuridico sopra proposto ha statuito espressamente: “Nonostante la rilevanza data alla presenza effettiva del dipendente per la quantificazione della quota dovuta a titolo di performance organizzativa, l’Ispettorato non ha ignorato ugualmente l’esigenza di individuare la tipologia di assenze dal servizio da equiparare alle presenze. Ciò premesso, non è dato comprendere quali siano le ragioni sottese alla scelta dell’ispettorato di considerare a tali fini solo i permessi di cui al comma 6 dell’art. 33 L. 104 del 1992 e non più i permessi di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 33 della medesima legge.
La scelta – dal momento che tutte le tipologie di permessi citati sono finalizzati a soddisfare la medesima esigenza di tutela del bene primario costituzionalmente garantito della salute – non può che qualificarsi discriminatoria”.
Del resto unica differenza tra i permessi comma 3 e quelli di cui al comma 6, è che mentre il comma 3 riguarda la possibilità di assistere un parente, ossia un soggetto terzo, il comma 6 si riferisce al lavoratore disabile. In entrambi i casi sussiste però una identica disabilità grave ed in entrambi i casi questi si assentano di fatto dall’attività lavorativa per motivi attinenti proprio alle necessità della disabilità. La finalità perseguita da entrambe le disposizioni è identica, ossia la tutela del diritto alla salute ex art. 32 Cost., nonché l’attuazione dell’art. 3 Cost.
I due permessi oltretutto appaiono parificati anche dal punto di vista retributivo; difatti in entrambi i casi il lavoratore ha diritto alla interezza della retribuzione giornaliera oltre all’erogazione della contribuzione previdenziale, principi questi ultimi su cui non si può nutrire alcun dubbio e che sono stati sanciti espressamente dalla Legge 27 ottobre 1993, n. 423 e dalla Legge 8 marzo 2000, n. 53 che ha chiarito che i detti permessi sono anche coperti dai versamenti utili per il raggiungimento del diritto alla pensione.
Detto questo è palese la illegittimità della scelta dell’amministrazione che decideva di escludere dal detto computo i permessi ex art. 33 comma 3 L. 104/1992, mentre vi ricomprendeva quelli comma 6.
Così agendo si è venuta a creare una palese illegittima discriminazione tra lavoratori che sostanzialmente vivono situazioni assimilabili. Per due situazioni identiche vi erano due trattamenti del tutto differenti. Facendo propri tali presupposti il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso del nostro studio legale, ribadendo i riferiti fondamentali di rilevanza costituzionale.