
Con sentenze del 28 dicembre 2022 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sulla validità dei titoli di abilitazione e specializzazione sul sostegno.
Il Ministero aveva negato il riconoscimento di tali titoli sostenendo, in particolare, che se gli aspiranti insegnanti italiani che hanno ottenuto tali abilitazioni all’estero non possono insegnare nel Paese che ha rilasciato questi certificati non possono pretendere di farlo, a maggior ragione, neanche in Italia.
L’ordinanza di rimessione aveva, in tal senso, valorizzato la posizione del Ministero dubitando che il sistema comunitario di mutuo riconoscimento dei titoli potesse spingersi a tal punto da consentire allo Stato ricevente di superare le mancanze che lo stesso Stato rilasciante (in questo caso Bulgaria e Romania) avessero affermato negando la possibilità di insegnare nel proprio Paese.
L’Adunanza Plenaria, tuttavia, aderendo alla tesi da sempre sostenuta dallo studio Bonetti & Delia, ha chiarito che “la verifica dell’autorità del Paese ospitante ai fini del riconoscimento tende ad assumere i connotati dell’automatismo, coerenti con le esigenze di certezza del quadro regolatorio uniforme a livello nazionale e agli obiettivi di circolazione dei lavoratori e dei servizi perseguiti attraverso la direttiva. Nella medesima ottica di favore non può dunque ritenersi esclusa, ma anzi deve ritenersi necessaria, una verifica in concreto delle competenze professionali comunque acquisite nel Paese d’origine dal richiedente il riconoscimento e della loro idoneità all’accesso alla ‘professione regolamentata’ in quello di destinazione.
In altri termini, il riconoscimento tipizzato dalla direttiva 2005/36/CE, normativamente predeterminato nel senso di una presa atto del titolo professionale, dell’attestazione di competenza, o dell’esperienza professionale acquisita dall’interessato, si colloca comunque in un sistema che, in vista dell’obiettivo di attuazione delle libertà economiche fondamentali dei Trattati europei, si propone di «facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati ed altri titoli stabilendo regole e criteri comuni che comportino, nei limiti del possibile, il riconoscimento automatico di detti diplomi, certificati ed altri titoli», come enunciato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con specifico riguardo al regime di riconoscimento automatico, ma con valenza espansiva anche per il regime generale di riconoscimento, demandato ad una fase amministrativa di verifica dei percorsi di formazione e acquisizione delle necessarie competenze professionali seguiti dall’interessato in ciascun Paese dell’Unione. Nella prospettiva finora delineata, la mancanza dei documenti necessari ai sensi del più volte art. 13 della direttiva 2005/36/CE non può pertanto essere automaticamente considerata ostativa al riconoscimento della qualifica professionale acquisita in uno Stato membro dell’Unione europea, dovendosi verificare in concreto il livello di competenza professionale acquisito dall’interessato, valutandolo per accertare se corrisponda o sia comparabile con la qualificazione richiesta nello Stato di destinazione per l’accesso alla ‘professione regolamenta”.
Cosa succederà, quindi, a tutte le istanze sin’ora non esitate dal Ministero?
La risposta è già arrivata dal T.A.R. Lazio che, con decine di sentenze del 29 dicembre 2022, già il giorno successivo alla Plenaria, in accoglimento dei ricorsi di Bonetti & Delia, ha condannato il Ministero a valutare i titoli ritenendo illegittimo il silenzio o comunque il diniego frapposto e condannandolo anche 1000 euro di spese per ogni candidato e commissariandolo in caso di ulteriore inerzia oltre i 30 giorni. L’Amministrazione, scrive il T.A.R. Lazio, “è tenuta ad accertare- con valutazione non sostituibile da parte di questo Giudice nel presente giudizio ex art. 117 c.p.a.- la validità del percorso formativo individuale della parte richiedente, come attestato dal titolo estero prodotto in sede procedimentale, per verificare se sussistono le condizioni per accogliere la relativa istanza di riconoscimento“.
L’Adunanza Plenaria, infine, ha anche sottolineato che “la peculiare posizione ora descritta induce a ritenere fondata le richieste delle medesime appellanti di essere sottoposte ad un esame che in concreto accerti il livello delle competenze professionali complessivamente acquisite da ciascuna, all’esito del suo percorso di studi in Italia e della successiva formazione professionale svolta in Bulgaria“.
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